Ciao, Bocca di Rosa

Ciao, Bocca di Rosa

11 Gennaio 1999. 
Napoli. Piazza Bellini. Sto pranzando con il mio Amico, maestro Luciano Luisi e con la cantante, appena conosciuta, Natasha Bonacci.
Tra un boccone e l’altro, Natasha se ne vien fuori con “sentito che è morto quel cantautore…”
Luciano e io ci guardiamo in faccia e chiedo “Quale?”. Non le viene il nome…incredibile! Poi arriva… “…De Andrè”.  E’ un colpo. “NO! IL MIO AMICO FABRIZIO!” …  Mi alzo di scatto e lascio il cibo, faccio alcuni passi. Luciano mi segue con lo sguardo: “E’ grave. E’ un grave colpo…”. Vado da altri amici del ristorante. Comunico. Rimangono di sasso. Natasha rimane colpita: non conosce Fabrizio,  ma le nostre espressioni non la lasciano tranquilla ed indifferente. Ornella mi sorride, mi prende la mano e mi dice: “Adesso Cristiano avrà bisogno di un vero amico. Avrà bisogno di te”. “Se vorrà, non chiedo di meglio e non mi tiro indietro: ho sempre sentito
Amicizia per i De Andrè!”

Sono a Napoli per tenere dei Seminari di Studio. Immediatamente mi organizzo: andrò a Genova per i funerali. Passo da Bologna, dormo nel mio studio in centro, poi via a Genova. Salgo sul treno e vedo tanta gente triste. Non parlo con nessuno. Una volta a destinazione, prendo un taxi e chiedo al taxista di portarmi alla chiesa dei funerali di Fabrizio.  “E’ un giorno molto triste per la nostra città!” La simpatica cadenza genovese mi fa risentire la voce di Fabrizio, che non vedo da qualche mese e che non rivedrò, almeno qui, almeno per ora. 

Avevo sentito Dori al telefono, una sera, alla vigilia di Natale. Voce squillante, allegra, prometteva che Fabrizio si stava riprendendo: rasserenava Fabrizio, tentava di rasserenare me, così colpito da alcune fotografie appassite da immagini non rassicuranti. Poi, dopo 18 giorni, la notizia… 

Dentro e fuori la chiesa,  quantità di gente, bandiere anarchiche. Non si riesce  ad entrare. Aggiro la chiesa e trovo un portoncino laterale. Ce la faccio. La commozione si taglia a fette. E’ tutto molto concreto. E’ tutto coinvolgente. E’ tutto laico e cattolico, ma un’animismo onirico prende tutti. Sembra un sogno grigio; ognuno sembra impegnato in una silenziosa, ordinata, tribale danza immobile di una New Orleans tutta nostra. Insomma c’è sconvolgimento, ora silenzioso, ora anarchico.
Tutto sembra voler entrare nella testa di tutti, pronta a proiettare i ricordi pubblici e privati di ciascuno con il Faber.

La cerimonia sembra essere interminabile e il ricordo lo è ancora di più: è un colloquio che non vuole essere interrotto, che si culla nelle note di Fabrizio, nelle parole dell’amico sacerdote. Ma tutto ha una fine e qui la fine è nell’applauso, potente, affettuoso e tutt’altro che spettacolare, spettacolistico. Tutto, tutta la fine è nello sventolio di bandiere che aspettavano sulla scalinata esterna!

Mi defilo in fretta e velocemente mi avvio verso il cimitero: siamo in tanti, siamo in meno rispetto alla folla della chiesa. Qualcuno già si lascia un po’ andare e c’è chi cerca di attaccare discorso e scherzare con Beppe Grillo, che declina rispettosamente ogni tentativo. Riconosco anche altre facce, ma non è il momento di far chiacchiere.
Infine mi reco a salutare Dori, Luvi e Cristiano. Le meravigliose Dori e Luvi ringraziano, ma replico: “Non potevo mancare. Sono volato subito da Napoli”. “Spero ci rivedremo presto” mi dicono all’unisono. Cristiano vorrebbe articolare qualcosa, ma son troppe le cose, le risposte, le mani. Lo guardo: un cenno, quattro rughe a fianco degli occhi, le mani nelle mani e “a presto rivederci”. La prossima volta -pochi mesi dopo- sarà a casa di Cristiano: Milano era un facile punto di riferimento per vedere Fabrizio. E lo è anche per vedere Cristiano.

In un tempo veloce sono di nuovo in auto, questa volta verso la stazione: mi aspetta un treno pieno di gente che ho già visto in chiesa e al cimitero. Un treno dagli occhi umidi, luccicanti e rossi.

Alois Walden Grassani

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