Minà controcorrente

“Ho tentato di usare metodi nuovi e insmentibili, con notizie super verificate. Ho raccontato il mondo con le voci dei protagonisti. Mohammed Alì nasce dalla testardaggine mia e dalla particolarità di Mohammed.
Ho subito capito che non era un “pugile qualsiasi”, ma che aveva un altro passo, un altro respiro.
La nostra prima intervista vide Mohammed scocciato: credeva che io fossi “uno di quei giornalisti europei, che volevano sapere come viviamo. Noi sappiamo bene come viviamo”.
Da allora, decine di incontri ed interviste: un’amicizia.

A Roma con Mohammed, andammo prima da Papa Giovanni Paolo II, poi a piazza Navona, quindi da Checco el Carrettiere. Riunii anche altri amici: Gabriel Garcia Marquez, Robert De Niro, Sergio Leone. Un tavolo di incontri di vite importanti.

E poi Blitz: con Minoli pensammo di dover fare qualcosa fuori dalle righe, perché dentro c’erano già tutti… e con cattivo gusto. Doveva essere un programma dinamico, “sporco”, audace. Abbiamo portato in trasmissione Benigni, Troisi e Carmelo Bene, dove Carmelo insegnava a Benigni a leggere Dante.

Ma alla fine, la politica ha imposto la televisione commerciale, dicendo che “era la gente a volerla”. Io allora ho cercato di dare di più.

Il mio appuntamento con Mandela? Lo rinviai. E quando rimandi una cosa che deve essere fatta, questa cosa sfugge. E’ l’unico rammarico che ho. Appuntamento mancato.”

Redazionale.

Da un’intervista di Alessandra Vitali a Gianni Minà per La Repubblica

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