Api Nere

Api Nere

Da decenni i pesticidi e i diserbanti stanno uccidendo le erbe, gli insetti, ma anche l’acqua, l’aria, le falde sotterranee, gli organi interni dell’essere umano. Negli anni ‘70 del secolo scorso, molti giovani lanciarono allarmi in varie parti del Paese, ma erano “solo dei ragazzi”.  Poi cominciarono a morire decine di contadini, sempre e solo di cancro, prevalentemente in Romagna, terra dove “si fanno le cose sul serio”: la politica, il turismo, la piadina, il mangiar ben saporito e anche l’agricoltura intensiva. Questo accade sinché non si sbatte duro contro il  muro della realtà. E, allora, anche il business cambia. Quando i contadini/tecnici morti per cancro diventano 100 e tutti in zona agricola della piccola Romagna, ci si chiede se non sia finalmente il caso di passare al fronte opposto: prima tutti a gridare “eia eia atrazin” poi “viva la natura, siamo fratelli della natura”. Ma qualche volta è troppo tardi. Vale per Forlì, ma vale anche per Taranto e la sua industria, per la fragile Venezia, per la Toscana le cui acque sono invase da mercurio, metalli pesanti e glifosato, che brucia letteralmente erbe e terreni, persino nella Val d’Orcia, patrimonio dell’umanità.

Una specie trafugata e poi trascurata è quella delle api, creatura antica, sfruttata e ora in gravissimo pericolo: la rovina si estende -oggi e da tempo- a tutta la vita planetaria. La fine delle api significa la fine dell’amicizia fisiologica di fiori, piante, animali. E significa fine del cibo, anche per l’umano.

Da tempo se ne parla: morìa delle api (v.anche ZoomIN’), a causa di pesticidi, diserbanti, sostanze chimiche per favorire un rinnovo nutritivo del terreno: fantomatico e pericoloso per l’essere umano, come per i vermi del terreno, per le cinciallegre, i passeracei che vanno a cercare cibo (velenoso) per i figlioletti nidiacei. Non è un discorso da buonisti: i signori cattivisti si mettano l’animo in pace, poiché l’atteggiamento all’insegna de “il progresso non si ferma” è esattamente quello che sfrenatamente porta alla fine del pianeta. Non si tratta di capire se ciò accadrà, ma piuttosto di QUANDO ACCADRA’. Siamo ancora in tempo, nonostante tutto, ma senza rimandare di un solo giorno. Personalmente, da decenni dico che dobbiamo adoprarci, anche se la Terra ha già il suo indirizzo, ben stampigliato dalla avidità, dalla cattiveria, dalla stupidità e dalla -falsa- intelligenza dell’essere umano.

 

C’è una specie di api che ha resistito più di altre ai cambiamenti climatici e agli attacchi portati dall’uomo all’ambiente. E’ una specie che si trova in Italia, precisamente in Sicilia: è l’ape nera sicula (Apis mellifera siciliana).

In realtà è alloctona, diventata autoctona nel tempo: ha colonizzato la zona occidentale dell’isola. Questa piccola e operosa creatura, dall’addome molto scuro e una peluria giallastra, gode di una maggiore resistenza e -a differenza di molte sue simili, la cui vita è continuamente messa a rischio dal clima- può sopravvivere ai cambiamenti di temperatura ed eventi meteorologici.

Alla fine degli anni ’80 l’ape nera era quasi estinta. Ironia della sorte -per i tempi che stiamo vivendo- è di… lontane origini africane, piuttosto scura scura ! E -come i nostri fratelli africani- è particolarmente forte e resistente: in un certo qual modo, la sua eredità genetica è rimasta come allo stato originario, selvatico. Una delle sue particolarità è che non va in blocco di covata durante l’inverno e durante i mesi più freddi: produce miele di nespolo e di mandorlo, particolarmente ricchi di antiossidanti.

Qui andrebbe rivista e corretta l’attitudine umana allo sfruttamento produttivo: pur con una visione produttiva, bisogna pensare che l’ape, qualsiasi ape non è nata per dare miele alla tribù umana e -men che meno- all’industria dolciaria. In due parole: non si può pensare di portare l’ape a stressarsi per lavorare per sé e per i voraci umani.

Pensiamo solo al “bombo bottinatore” che va in giro a cercare polline, poi -giunto all’alveare- passa dalle strettoie/trappola, scarica forzatamente il polline, entra in alveare e si accorge che le sue sacche sono vuote. Allora riparte per un nuovo viaggio, un nuovo carico. Anche alla fine del successivo giro, stesso trattamento: la sua psiche ne risente fino a farlo ammalare. A questo si aggiunga che analogo procedimento avviene per il miele, la propoli, la pappa reale. Così non va, anche perché -nella cecità umana- la richiesta è esponenziale, il mercato chiama senza sosta. Per la cronaca, sono tanti i piccoli amici volanti che portano il polline da un fiore all’altro, a favorire tutte le fioriture e le conseguenti fruttificazioni. Le api sono certamente fondamentali e costituiscono una spia della situazione eco-logica: se muoiono le api, vuol dire che l’umano si sta comportando malissimo e bisogna invertire rotta.

Alois Walden Grassani

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