Uomini d’affari, professionisti, avvocati, studenti, tutti vestiti di bianco e con cartelli rossi. La scritta costante era ed è: “NO ALL’ESTRADIZIONE IN CINA”. Si opponevano e si oppongono a una legge, la cui approvazione è prevista per mercoledì 12 Giugno e che -sostengono- servirà per portare avanti persecuzioni politiche ad Hong Kong. I fautori della riforma, a partire dalla leader di Hong Kong Carrie Lam, dicono che non è così. Affermano che nella legge sono state introdotte clausole di salvaguardia: impediscono che chiunque “potenzialmente esposto a persecuzioni politiche o religiose, possa essere estradato nella Cina continentale”. Affermano inoltre che “saranno i tribunali di Hong Kong ad avere l’ultima parola sulle richieste di estradizione”. Ma la gente non si fida: sanno bene cosa è successo in Tibet e ricordano le promesse. «Un Paese, Due Sistemi» è quanto concordato nel vicino 1997, quando Hong Kong passò -non senza timori e perplessità- dalla Gran Bretagna alla Cina. Nell’occasione, ad Hong Kong era stato garantito il diritto di mantenere per 50 anni i propri livelli politici, sociali e legali.
Pechino però non sa resistere a se stessa. E’ un dragone che divora ed erode. Diminuiscono le capacità decisionali locali. I governanti -sotto la pressione della Cina che sta letteralmente comprando il mondo- divengono essi stessi riformatori, revisionisti, rassicuratori del popolo che però non si fida.
Pechino, come un oceano in avanzata, non si ferma: mangia i mercati, pezzi di terre e popoli. Figurarsi se può farsi sfuggire l’involtino primavera di Hong Kong. La trama è la stessa di sempre: divorare l’autonomia politica, giudiziaria, parlando di criminalità e sicurezza.