Giornata della Memoria

Giornata della Memoria

27 Gennaio 2019.
C’è qualcosa di grigio, oggi, nell’aria. Anzi, di luminoso.
Aria di fonderia riverbera sull’acqua.
Vivere nell’acqua, vivere sull’acqua, non è da tutti, decisamente.
E vi sono città che hanno cercato persino di nascondere la propria origine acquatica. L’acqua di fiume, l’acqua di mare sono state elementi fondanti per la vita, la salute, la malattia, l’economia di intere città, antiche città. Vi era una piccola Venezia, radicata nella pianura Padana e snodo di traffici prima fluviali e poi ferroviari: Bononia, divenuta nei secoli Bologna, città delle cose buone, città della cultura, città di medicina, diritto, politica, papalina e dotta. Col passare dei secoli ha voluto disconoscere la sua identità fluviale, che la legava al commercio dei tessuti e del pesce, quindi a Firenze, Prato, Comacchio, Ferrara, Ravenna  e persino Venezia.
Col passar del tempo, Bologna ha abbattuto i segni del passato: le torri, le mura, alcune strade. Per quel che non ha fatto il governo cittadino, ha provveduto la guerra. I bombardamenti hanno risolto il problema di un rinnovamento e di una riedificazione che -forse- sarebbero comunque arrivati per via referendaria. E torrenti, fiumi, canali, sono stati progressivamente tombati, nascondendosi così una vocazione ed un’origine, a favore di igiene e modernismo, che potevano essere perseguiti -forse- anche in ben altra maniera  e con ben altra mano. Così, Bologna si è nascosta a se stessa.
La cosa non poteva riuscire ad altre aggregazioni: la piccola Comacchio e la già Repubblica di Venezia. Per non parlare di tanti agglomerati limitrofi.

A nascondersi alle acque, Venezia neppure ha provato, né poteva riuscirci. Troppo vicino il mare, troppo innervata la laguna, anche se, in tempi recentissimi, la zampa pelosa dell’uomo ha fatto di tutto per lasciare il suo segno negativo, con risultati disastrosi sulla morfologia della città, oggi perenne vittima di un’acqua alta che prima sapeva ben regolarsi secondo i semplici cicli marini e lunari.

Come tanti punti -piccoli e grandi- dell’Italico Stivale, anche Venezia ha migliaia di storie da raccontare. Anzi, Venezia è una delle più eloquenti narratrici di macro e micro storie. Aleggiano sulle sue acque le anime di Shakespeare e delle sue leggendarie creazioni; e a voler ben guardare,  quella di Attila e dell’Unnico esercito. E molto si dovrebbe dire al riguardo: storie e leggende. Ci fermeremo ad una riflessione e ad un parallelo. I vulcani sono oggi ben temuti dagli esseri umani, come lo sono sempre stati. Eppure i vulcani sono stati componente viscerale della vita del Pianeta. E in modo analogo possiamo dire che le razzie di Attila, nel 400 dopo Cristo), dei suoi mongolturcogermanici, siano stati temuti perché terrorizzanti. Ma l’aver raso al suolo città come Aquileia, ha fatto sì che gli abitanti di terraferma si spostassero verso la laguna. Era il primo passo per la creazione di Venezia città. I passi successivi si realizzarono con la discesa dei longobardi, nel secolo successivo: verso la Laguna si spostarono non solo genti di basso censo come prima accadeva, ma anche i ricchi, facoltosi, le loro famiglie e i loro lavoranti.

Se guardiamo alla storia, ne comprendiamo gli atti costitutivi, la creazione dei cuori e dei nervi delle civiltà, delle città, dei cittadini.
Nel giorno della memoria, è importante riflettere su questo aspetto: nella scuola, nella vita, nella cultura. E bisogna capire la differenza tra Olocausto (sacrificio quasi indispensabile, rituale verso Dio) e Shoah, semplice distruzione perpetrata su fondamenta esecrabili, su follie dettate da una fede mal trascritta nel cuore di moderni Unni, fuor di senno.

Primo getto a Venezia

Molti, quasi tutti, identificano la parola “ghetto” come  un “luogo di reclusione”. E’ pure di uso comune il senso del racchiudere una “minoranza poco gradita, in un ghetto”. In realtà, tutto partì 503 anni fa, con l’assegnazione di un quartiere di Venezia alla Comunità Ebraica: una sorta di confino e concentrazione degli ebrei, prima sparsi nella città. Famoso in Europa, successivamente, il Ghetto di Varsavia.
Mezuzah significa stipite, ma anche “astuccio/pergamena che riporta le preghiere tratte dal Deuteronomio”. E’ scritta scaramantica, quindi propiziatoria. Tali stipiti e pergamene sono all’entrata del Ghetto di Venezia: spazio dedicato a concerie e fonderie, era chiamato “Getto” a causa del getto dei metalli fusi. Gli ebrei che vi ebbero il primo accesso (dal nord),  pronunciavano il nome in modalità tedesca, con la ” Gh” dura. E così rimase, allargandosi poi da Venezia, al nord Europa, a Roma, Bologna, in Italia, nel Mediterraneo, infine nel mondo. Da traslitterazione, passò poi alla radicata convenzione di “confino”, conflitto sociale, sino alle tetre ed anti-sociali situazioni e conseguenze a tutti note. Ed è lì, sugli stipiti d’entrata che stanno tutt’oggi -fra i milioni- i nomi di duecento sfruttati, torturati, resi cavie ed infine assassinati nei lager nazisti.

(continua).

Alois Walden Grassani

Translate »
Facebook
Instagram