Signornò, ministro Costa.
Sul Santuario dei Cetacei
Di Alessandro Giannì
11 ottobre 2018
Leggo che, davanti all’ennesimo disastro marittimo nel Santuario dei Cetacei, il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, non è (per ora) riuscito a far di meglio che indirizzare ai comandanti delle imbarcazioni coinvolte nell’incidente un “formale provvedimento che imponga loro di adottare sin d’ora ogni misura ritenuta utile per limitare al massimo i danni alle risorse naturali italiane”.
Premesso che in un Santuario internazionale è difficile distinguere tra i danni alle risorse italiane e quelli di altri Paesi (a chi “appartengono” capodogli, balenottere comuni e stenelle?), mi permetto di dissentire nel merito.
La più verosimile causa diretta dell’incidente è l’irresponsabile condotta del traghetto Ulysses che procedeva a 18 nodi (una velocità rilevante per una imbarcazione di oltre 160 metri di lunghezza: sono oltre 33 km/h), plausibilmente senza una presenza fissa e competente in plancia. Colpa del comandante? Certo. Ma che equipaggio aveva a bordo questo comandante? Gente esperta? Erano abbastanza? O erano così pochi e stanchi che hanno pensato bene di metter su il pilota automatico e andarsene a dormire? È il comandante che “fa” l’equipaggio? O sono gli armatori che hanno queste responsabilità? E come facciamo, in Italia, a parlare di responsabilità degli armatori quando nessun armatore ha pagato le conseguenze per il più importante processo per disastro navale, quello della Costa Concordia (appunto, nel Santuario dei Cetacei)?
Tuttavia, la vera questione che rende inaccettabili le parole del ministro (e l’operato dei predecessori) è che quest’area di mare sarebbe un’area “protetta” sin dalla fine degli anni Novanta. L’accordo per il Santuario dei Cetacei (o presunto tale) fu firmato tra Francia, Monaco/Montecarlo e Italia il 25 novembre del 1999.
Sono quindi passati 19 anni dalla firma e poco meno dalla ratifica italiana grazie alla Legge 391 del 11 ottobre 2001. A parte le minuzie di facciata, la sostanza del Santuario è semplice: nel Santuario valgono le stesse regole che fuori. Provate a chiedere quante sanzioni sono state comminate a causa di specifiche violazioni a norme sul questa area “protetta”: praticamente, zero.
Eppure, per limitarsi solo al traffico navale, l’elenco degli “incidenti marittimi” più rilevanti è lungo: dai “bidoni tossici” persi al largo della Gorgona dall’Eurocargo Venezia della società Grimaldi (dicembre 2011), alla Costa Concordia (gennaio 2012), fino al cargo turco Mersa 2 che nel giugno 2012 si schiantò (con una dinamica simile a quella dell’incidente al largo di Capo Corso) su Capo S. Andrea all’Isola d’Elba. La collisione tra il portacontainer Virginia e il traghetto Ulysses (7 ottobre 2018), circa 30 km al largo di Capo Corso, conferma una purtroppo facile previsione: un’altra Costa Concordia è possibile.
Dopo questo tragico evento (e un lungo braccio di ferro tra Ministero dell’Ambiente e Ministero dei Trasporti) fu emanato un “Decreto Anti Inchini” (fino a quel momento regolarmente pubblicizzati nelle crociere turistiche entro e fuori il Santuario…). Ma, ad oggi, non c’è ancora traccia di un sistema di generale regolazione del notevole traffico navale nel Santuario dei Cetacei. Da anni si parla dell’ipotesi di un VTS (Vessel Tracking Service) che – tracciando elettronicamente il traffico navale, almeno per quanto concerne le imbarcazioni più grandi e quelle con carichi pericolosi – avrebbe forse potuto allarmare l’Ulysse che stava piombando a tutta velocità su un bersaglio lungo 230 metri. D’altra parte, un altro strumento ampiamente utilizzato è quello delle corsie di canalizzazione del traffico navale. Anche di questo si è discusso in passato e forse avrebbe impedito che un mostro di 230 metri potesse ancorarsi in una zona evidentemente trafficata.
Ovviamente, il Santuario ha anche altri problemi. Ma devono essere i governi di Italia, Francia e Monaco/Montecarlo – e non i comandanti delle navi – a risolverli. Signor ministro Costa: basta con un Santuario finto! Quando vorrete fare sul serio, per favore avvisate. Se serve una mano, ci siamo.
Rif.: www.ilfattoquotidiano.it