La paura delle domande
Andava tutto bene. La gente era ignorante e non voleva sembrare istruita. Riconosceva l’autorità e si piegava all’autoritarismo. Ammirava le alte cariche e gli alti incarichi pubblici e privati; e se non erano proprio alti, ammirava anche un ragioniere, perché se esistevano cariche e incarichi, voleva dire che lo Stato esisteva e qualcosa, prima o poi, nel suo ordine gerarchico, avrebbe dato a tutti. C’erano le “case Fanfani” e i sussidi per i poveri, c’erano le 500 Fiat e c’erano le proroghe infinite all’esecuzione degli sfratti, c’era l’assistenza sociale che non dava quasi niente, ma faceva credere di aver dato molto, c’erano le elementari e le medie per tutti, quasi a gratis.
Il quartiere Baggio II costituiva un’applicazione della legge approvata dal Parlamento il 28 febbraio 1949 in materia di abitazioni: il piano Fanfani, dal nome del suo proponente, o piano INA Casa, dall’ente presso il quale ne era costituita la gestione autonoma.
Il ’68 non modificò diffusamente quella mentalità, pur tuttavia cominciando a insinuare qualche dubbio in molti giovani e convincendone diversi, della necessità che la cultura dovesse rappresentare un obiettivo. Sdoganò parole come “politica” e “sesso”, che si cominciarono a pronunciare anche fra la gente ignorante, che intanto ignorante restava, ma iniziava a farsi qualche domanda. Le cariche, gli incarichi e l’autorità costituita non ne risentirono gran che; a sinistra, come a destra, la suddivisione in classi di gente superiore e gente che stava sotto resisteva.
Vennero il divorzio e l’aborto, che un poco minarono l’autorità dei maschi, ma in modo ancora insufficiente. Vennero le stragi di Stato e ancora non bastò.
Negli anni ’80, Dario Fo gironzolava per l’Italia, raccontando, dissacrando e sghignazzando, ma non bastava: la gente, per tradizione interiore, continuava a sentire del rispetto verso l’autorità.
Fino a che arrivò il computer e gli anni ’90 videro la rivoluzione tecnologica occupare la piazza interiore di moltissima gente, che prese a parlarsi e a dire le proprie cose ignoranti ad altra gente ignorante. Confidava dubbi, protetta dagli schermi dei pc; scopriva cose nuove, altre ne imparava, altre ne masticava appena, ma cominciava a comunicare con altra gente che altrimenti non avrebbe mai conosciuto. E poiché tra ignoranti sappiamo come intenderci, fu facile parlare di come andavano le cose, nella nuova era di internet.
Internet, che era nato per scopi militari, divenne strumento civile (e anche incivilissimo) per cercare, per dubitare, per sospettare, per accertarsi, per sincerarsi, per provare a capire, per sapere.
Chi ancora credeva al concetto di autorità si scandalizzò, parlò di cultura del sospetto, di incitamento all’odio, di rivoluzionari da tastiera. Si domandò, senza essere capace di rispondersi, come mai le piazze fossero vuote e i social fossero pieni, recriminò, si indignò, se la fece passare, cercò di resistere e perdette. Le ideologie sostenute dai partiti si disfecero definitivamente, si frammentarono polverizzandosi, mentre i fedeli alla causa non capivano come fosse possibile che tanta gente ignorante (che ignorante restava), pretendesse di dire la sua, di indagare, di voler sapere, di contestare, al puro scopo di sentirsi libera.
Libera veramente, la gente non era e la strada da fare è ancora lunga, ma in quell’amalgama strano e solo apparentemente mal riuscito, dove sedimentano notizie disinformate e informazioni autentiche, stanno i germi di un futuro che è già presente. E l’autorità, il potere costituito, i partiti post-ideologici, i super organizzatori della protesta e tutti quelli che volevano comandare qualcosa, non riescono più a gestire il proprio stato d’impotenza.
Cosa potrà accadere non può dirlo nessun mago Merlino.
Ma a Genova c’è un comico che ride.
Raffaella Costi
13 Agosto 2018.