FATE SILENZIO, IPOCRITI
Era il 1989 e pubblicai la prima inchiesta in Italia sui primi arrivi di immigrati africani nel nostro paese. Il loro punto di riferimento era l’orrore edilizio e umano del litorale domizio. Terra degradata, brutalizzata dalla speculazione edilizia e dai peggiori clan di camorra.
Vivevano lungo le strade, affollando porcilaie e stalle abbandonate. All’alba affollavano i crocevia della zona in attesa che furgoni e camion si fermassero e facessero salire a bordo carne umana per i campi di pomodoro e l’edilizia illegale. Guadagnavano niente, pochi centesimi. Schiavi, niente altro che schiavi.
Poco dopo arrivarono le prime donne. Per la gran parte dalla Nigeria. Pensavano di trovar lavoro e aiutare le proprie famiglie. Trovarono ad aspettarle i nostri marciapiedi gestite e sfruttate dalla mafia nigeriana in accordo con i clan criminali nostrani. Schiave, niente altro che schiave.
Cominciò trenta anni fa, trenta maledettissimi anni fa. Gli anni del nostro crescente disonore. Quelli in cui le nostre campagne e i nostri cantieri edili si trasformarono in nuove Louisiane e i nostri marciapiedi in luoghi di stupro quotidiano di povere innocenti.Un fiume di lacrime, di umiliazione e soprusi, inondò il nostro paese e mai nessuno ha fatto qualcosa di concreto per mettere fine a questo orrore. Nessuno. E si poteva fare.
Trovo perciò insopportabile la polemica in corso all’indomani dell’ennesima strage di povera gente vittima di mafie e caporalato. Nessuna decenza da parte di chi da sempre sa e mai ha mosso un dito.
In questi trent’anni, abbiamo visto brutalizzare la vita di migliaia e migliaia di giovani donne. Le abbiamo viste degradarsi e morire negli angoli più squallidi del nostro territorio. Molte di loro erano e sono poco più che bambine. Ma nella lotta alle mafie, noi italiani non eccelliamo e i nostri potenti preferiscono far patti con certi mondi.
Abbiamo assistito al nascere di un piccolo esercito di lavoratori stagionali che inseguono le stagioni della nostra agricoltura. Sottopagati, in preda a caporali e criminali, le donne sottoposte a ogni ricatto e brutalità, i loro giacigli, a fine giornata, non degni neanche di un animale. E abbiamo taciuto tranne gridare allo scandalo di fronte a un ghetto in fiamme o a poveri corpi straziati dalle regole criminali, dai carichi di lavoro bestiali o da tragici incidenti.
Un paese che titola per trent’anni di ghetti, caporalato e nuove schiave è un paese non serio. Le sue classi dirigenti totalmente non credibili. Si poteva e si doveva fare qualcosa. Non lo abbiamo fatto. Anzi.
Ricordo con orrore il fetore di un immondo ghetto per braccianti stranieri in Piemonte. Con il loro lavoro tenevano in piedi l’agricoltura della zona, da decenni. Ogni proposta di metter su delle strutture dignitose per consentire loro un minimo di dignità umana a fine lavoro aveva visto ergersi barricate da parte di chi oggi invoca preghiere per le ultime 12 vittime di questo meccanismo infernale e omertoso.
Erano e sono rimasti neri, meno di niente in un paese che racconta di non essere razzista, ma che il razzismo lo pratica da trent’anni non assicurando diritti minimi a chi ha un colore di pelle diverso dal nostro ma intanto mantiene in vita la nostra produzione agricola.
Ed allora tacciano. Tutti. Perché tutti, o quasi, sono stati al governo in questi trent’anni e lo sfruttamento, al di là di chiacchiere e leggi di carta straccia, è cresciuto e ha dilagato sulla pelle degli ultimi. Un po’ di rispetto, fate silenzio. Almeno oggi.
Spetta a tutti noi, a tutti quelli stanchi dell’ipocrisia dilagante, alzare la voce. A noi ultimi con gli ultimi, il dovere di pretendere giustizia, fatti e non parole. Per salvare loro, le nostre sorelle e i nostri fratelli schiavi. Per salvare l’onore di ciò che resta della nostra Italia.
Silvestro Montanaro
Giornalista Rai