IL SORRISO VINCENTE
JOAN MULHOLLAND: L’EROINA ORDINARIA
CHE NON HA MAI SMESSO DI LOTTARE
A vent’anni anni si ritrovò nel braccio della morte assieme ai peggiori criminali dello stato del Mississippi.
Joan Mulholland: né un’assassina, né una delinquente seriale, né un “prodotto sociale” come Paula Cooper, assassina a 16 anni, malmenata per tutta la vita precedente, a cominciare dal padre.
No. Joan Mulholland era soltanto una ragazza. Bellissima e piena di coraggio.
Nata a Washinghton D.C., ma cresciuta in Virginia, era di famiglia razzista; aveva avuto una “Tata” di colore, che praticamente la crebbe. In occasione di un viaggio in Georgia con un’amica d’infanzia, arrivarono in una cittadina “negra”: “Nessuno ci rivolgeva la parola, ma il modo in cui tutti si facevano quasi invisibili mi dimostrava come non si ritenessero alla mia altezza”.
Così a soli 10 anni, Joan si accorse del divario economico tra le razze: nella sua anima, decise che qualcosa doveva cambiare. Maturò diversamente dalle radici familiari e decise di passare dall’altra parte della barricata, lottando contro la segregazione degli afroamericani. Aderendo al Movimento per i Diritti Civili, si era unita ai Freedom Riders, gli attivisti che volevano far rispettare la legge: questa vietava la segregazione sugli autobus. Così, i Riders avevano deciso di attraversare in pullman tutti gli stati del sud.
Era il tempo in cui parecchi americani preferivano nuotare nel fiume con i coccodrilli, piuttosto che nelle piscine con i “negri”.
Il viaggio sudista dei Freedom Riders era stato bloccato in Mississippi. Duramente malmenati dal Ku Klux Klan (KKK) incappucciato e armato di mazze e tubi di ferro, vennero poi arrestati dalla polizia locale, che lasciò invece liberi i picchiatori razzisti… Una volta in carcere, furono sottoposti a trattamenti profondamente umilianti: le donne, in particolare, vennero denudate e costrette a subire invasivi esami vaginali. I Freedom Riders vennero poi incarcerati in celle isolate del braccio della morte, in condizioni facilmente immaginabili (viste le premesse) per quasi un mese.
Ma Joan ne uscì ancora più rafforzata. Successivamente, fu la prima donna bianca a iscriversi a una scuola per afroamericani, si sedette al fianco dei neri in un ristorante per soli bianchi a Jackson e partecipò in prima linea alla marcia di Washington. Nella cosiddetta Freedom Summer, durante la quale il movimento dei diritti civili lanciò una grande campagna per far iscrivere gli afroamericani alle liste elettorali, divenne uno dei bersagli conclamati del KKK, che uccise tre attivisti a Neshoba, contea del Mississippi.
Insultata, malmenata, ricevette minacce, fu sottoposta a esami psichiatrici dalle pubbliche autorità, ma non arretrò mai di un centimetro. La madre –ultra-razzista- la allontanò.
Il padre era fortemente preoccupato che la ragazza potesse essere uccisa. Nel frattempo, a Joan venne impedito d’iscriversi in una Università dell’Ohio, dirottandola invece nel N.Carolina, stato dove ancora oggi è pesante la scure del razzismo.
Per anni nel suo portafoglio portò un pezzo di vetro delle finestre della chiesa battista di Birmingham, fatta saltare in aria dal K.K.Klan: non voleva dimenticare mai i 4 innocenti bambini, morti nell’attentato.
Oggi Joan ha 75 anni e non ha smesso di lottare, fedele alla massima che si è imposta secondo cui “nessuno è libero, se tutti non sono liberi“.
Alois Walden Grassani.