Chaplin lo descriveva così:
«All’inizio Charlot simboleggiava un gagà londinese finito sul lastrico […] Quando nacque, lo consideravo soltanto una figura satirica. Nella mia mente, i suoi indescrivibili pantaloni rappresentavano una rivolta contro le convenzioni, i suoi baffi la vanità dell’uomo, il cappello e il bastone erano tentativi di dignità, e i suoi scarponi gli impedimenti che lo intralciavano sempre. […] Poi Charlot è diventato danza, imitazione, caricatura della lotta tra uomo e macchina: ogni suo movimento vuole essere leggero e sublime, dal semplice passeggiare con bastone in mano e bombetta in testa alla corsa, dal lavorare in fabbrica riproducendo movimenti automatici al flirtare con giovani donne attraenti. »
Ma come è nato questo personaggio vagabondo, pattinatore, macchinista, ladro, soldato e monello?
Un giorno Chaplin passeggiava per le strade di San Francisco e incontrò un barbone, lo portò in un ristorante e gli offrì il pranzo. Cominciò così a fargli delle domande, fino ad ottenere un racconto dettagliato e divertente della vita del senzatetto. “Quando ci separammo – racconta l’attore- il vagabondo fu molto stupito che io lo ringraziassi con tanta effusione…Non sapeva che tra i due era lui quello che aveva dato di più“. Fu così che, grazie a quel racconto, gli venne l’ispirazione per il vagabondo Charlot che tutti conosciamo, amato in tutto il mondo, come compagno e maestro di vita, intessuto nel telone bianco.