Quando chi richiede asilo allega “i fatti costitutivi del suo diritto“, il giudice deve accertare “anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine” dello straniero “si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale della vita o alla persona“, e deve indicare le fonti prese in esame. “Senza una simile specificazione – avverte la Cassazione, sentenza 11312 – sarebbe vano discettare di avvenuto concreto esercizio di un potere di indagine aggiornato“. L’asilo ad Alì era stato negato sulla base di “fonti internazionali” che parlavano di conflitto in Pakistan nelle zone del Fata e del Khyber Pakthunkwa.
Per la sua regione di provenienza – non citata – si faceva riferimento a fonti Easo, l’Agenzia europea per l’asilo, che comunque definiva la situazione “assai instabile“. Per la Cassazione, inoltre, è “solo genericamente enunciata” la ragione per cui non è stata riconosciuta “una specifica rilevanza, alla stregua di conflitto generalizzato“, al “suddetto livello di instabilità“. E non si capisce “se tale sia l’opinione del tribunale ovvero l’attestazione tradotta dalle suddette fonti“.
Uno studente/lavoratore Pakistano residente in Italia ha ritenuto suo dovere precisarci: “E’ oggettivo comunque pensare che questi riferimenti e ricerche siano particolarmente difficili, anche per un tribunale. In Pakistan, ad esempio, non c’è guerra, ma periodicamente, gruppi di terroristi si organizzano per attaccare -ad esempio- una scuola o un luogo istituzionale. E’ vero però, che recentemente casi del genere sono diminuiti di numero, grazie ad una notevole azione di “intelligence” dell’esercito.