Richiedenti Asilo: Cassazione

Richiedenti Asilo
Cassazione: no a formule generiche di respingimento

Richiedenti Asilo: la Cassazione esorta i magistrati -nell’emettere sentenze- a non essere generici, a non usare “formule stereotipate”, derivate da generiche “fonti internazionali”. Bisogna invece che si basino su informazioni “aggiornate, riguardo al Paese d’origine” dei richiedenti asilo. Tutto nasce dal ricorso di un immigrato pakistano al quale, con accertamenti ‘sommari’, era stato rifiutata l’accoglienza umanitaria. Sulla base di questi principi – inviati al Massimario – la Suprema Corte ha dichiarato “fondato” il reclamo di Alì S. contro il ministero dell’Interno. La Commissione prefettizia di Lecce e poi il Tribunale della stessa città, nel 2017, avevano negato il diritto a restare in Italia, respingendo la sua domanda di protezione internazionale. Alì non si è dato per vinto, fino in Cassazione. Qui ha fatto presente che l’asilo gli era stato negato “in base a generiche informazioni sulla situazione interna del Pakistan, senza considerazione completa delle prove disponibili” e senza che il giudice avesse “azionato il suo potere di indagine”.
La Cassazione ha -per tutta risposta- enfatizzato il fatto che il giudice “è tenuto a un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del Paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi di indagine e di acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate“, e non di “formule generiche” come il richiamo a vaghe “fonti internazionali“.

Quando chi richiede asilo allega “i fatti costitutivi del suo diritto“, il giudice deve accertare “anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine” dello straniero “si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale della vita o alla persona“, e deve indicare le fonti prese in esame. “Senza una simile specificazione – avverte la Cassazione, sentenza 11312 – sarebbe vano discettare di avvenuto concreto esercizio di un potere di indagine aggiornato“. L’asilo ad Alì era stato negato sulla base di “fonti internazionali” che parlavano di conflitto in Pakistan nelle zone del Fata e del Khyber Pakthunkwa.
Per la sua regione di provenienza – non citata – si faceva riferimento a fonti Easo, l’Agenzia europea per l’asilo, che comunque definiva la situazione “assai instabile“. Per la Cassazione, inoltre, è “solo genericamente enunciata” la ragione per cui non è stata riconosciuta “una specifica rilevanza, alla stregua di conflitto generalizzato“, al “suddetto livello di instabilità“. E non si capisce “se tale sia l’opinione del tribunale ovvero l’attestazione tradotta dalle suddette fonti“.


Uno studente/lavoratore Pakistano residente in Italia ha ritenuto suo dovere precisarci: “E’ oggettivo comunque pensare che questi riferimenti e ricerche siano particolarmente difficili, anche per un tribunale.  In Pakistan, ad esempio, non c’è guerra, ma periodicamente, gruppi di terroristi si organizzano per attaccare -ad esempio- una scuola o un luogo istituzionale. E’ vero però,  che recentemente casi del genere sono diminuiti di numero, grazie ad una notevole azione di “intelligence” dell’esercito.

Esistono anche lotte intestine tra famiglie, che sono molto allargate. I dissapori arrivano anche a picchi di gravità sino a veri e propri raid, giungendo a faide ed assassinii.
Tutta questa sorta di pacificazione interna al Pakistan, rende meno grave la situazione che riguarda i rapporti di quel Paese e l’ Italia, sotto il profilo delle migrazioni. Ma è anche vero che il diradarsi di conflitti amplifica la difficoltà di individuarli.
Resta la perentorietà della sentenza in Cassazione.

Redazionale

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